venerdì 22 giugno 2012

Pavlov

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"Guarda cosa riesco a far fare a Pavlov. Appena io sbaverò lui sorriderà e scriverà sul suo piccolo libro"

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LO SHOPPING COMPULSIVO


LO SHOPPING COMPULSIVO

Salve, spero di ricevere presto il vostro aiuto, sono studentessa di Scienze e tecnologie della moda e sto iniziando a preparare la mia tesi di laurea. L'argomento scelto autonomamente è "shopping descrizione e dipendenza (shopping compulsivo)". La mia domanda sorge da un'esigenza di progettazzione della tesi, devo iniziare con l'inserire la psicologia nel campo della moda, perchè si inserisce e con che modalità, poi passare alla descrizione del fenomeno shopping e poi la dipendenza appunto shopping compulsivo, non so ancora come affrontare la metodologia di analisi . Ora chiedo un suggerimento circa i libri che posso visionare e utilizzare che supportino la parte introduttiva della mia tesi ( la psicologia come si inserisce nella moda e perchè si inserisce). Sono ben graditi suggerimenti di qualsiasi genere volti a migliorare quanto da me programmato, Vi ringrazio anticipatamente.


Risposta

La compulsione allo shopping è un disturbo caratterizzato dall'incapacità a resistere ad un desiderio improvviso, ad un irrefrenabile impulso a comprare un oggetto, per il bisogno di placare una tensione interna, estinguibile solamente allentando le resistenze e cedendo all'impulso stesso. Le persone in questione non sono in grado di resistere al bisogno di acquistare neppure di fronte alla consapevolezza che questo comportamento rappresenta un problema a livello finanziario, sociale, e psicologico. Questi soggetti si differenziano dai classici "spendaccioni", dalle persone "con le mani bucate", dal momento che questo comportamento rappresenta una vera e propria compulsione, ovvero un comportamento ripetitivo, un atto che non si può fare a meno di compiere, eseguito con lo scopo di ridurre un'ansia o un disagio, e non con lo scopo di fornire una gratificazione.


Il disturbo fu inizialmente descritto da Kraepelin nel 1915 come una mania (mania di comprare), ma a tutt'oggi la sua classificazione tra i disturbi è alquanto controversa. La diatriba riguarda essenzialmente la categoria a cui assegnare questo disturbo, se fra le dipendenze, o se piuttosto sia un'aspetto di altre patologie, quali la depressione, il disturbo ossessivo compulsivo, il disturbo del controllo degli impulsi.

Secondo McElroy e colleghi (1994), tale disturbo è in grado di generare un set di emozioni totalmente in contrasto fra di loro, dal sollievo e piacere (caratteristiche di tipo egosintonico) indotti dall'acquisto, allo stress, ai sensi di colpa e alle sensazioni negative (caratteristiche di tipo egodistonico) legate all'incapacità di fermare e abolire tale impulso. Per tali caratteristiche, simili a quelle rintracciate nei soggetti ossessivo - compulsivi, lo shopping compulsivo può essere fatto rientrare nella categoria dei disturbi Ossessivi Compulsivi.

Da un'altro punto di vista il disturbo può essere visto come reazione ad uno stato depressivo, indicando quindi l'impulso all'acquisto sfrenato come una caratteristica del disturbo clinico depressivo. E' stato infatti riportato spesso in letteratura come la tendenza a comprare in maniera compulsiva aumenti durante gli stati d'animo negativi, come la tristezza, la frustazione. In particolare, sempre secondo la ricerca riportata dalla McElroy, la tendenza all'acquisto compulsivo non si manifesterebbe durante gli episodi più gravi o maniacali della depressione. Questa idea è sostenuta inoltre dal fatto che gli oggetti acquistati sono spesso inutili dal punto di vista utilitario, al punto che vengono spesso regalati o accantonati, a sottolineare il fatto che servono quasi esclusivamente a riempire un senso di vuoto e una mancanza di autostima da parte del soggetto. E' stato inoltre sperimentato che in soggetti affetti da shopping-compulsivo, se trattati con antidepressivi, si assisteva ad una remissione, parziale o completa, dei sintomi tipici del disturbo.

Lo shopping compulsivo può anche essere visto come una forma di dipendenza, dal momento che possiede con questa molte caratteristiche in comune: la tolleranza, per cui i soggetti tendono ad incrementare il tempo e il denaro speso nell'acquisto; l'incapacità a controllare l'impulso di mettere il comportamento in atto; la depressione che segue alla consapevolezza di andare incontro a conseguenze negative; il piacere immediato dato dall'acquisto, che riduce le tensioni e funziona come rinforzo per il successivo impulso, gettando il soggetto all'interno di un circolo vizioso da cui non è in grado di uscirne senza aiuti esterni.

A livello biologico, si ipotizza che il disturbo da shopping compulsivo sia causato da un malfunzionamento dell'attivita serotoninergica. Disturbi legati ad alterata produzione o ricaptazione della serotonina determinano infatti, tra le altre cose, un cattivo controllo degli impulsi, come nel caso dei tossicodipendenti, i quali sono costretti a soddisfare i propri bisogni divenuti irresistibili.

A conferma di quanto detto finora, in un articolo di John E. Grant (2003) vengono riportati i risultati ottenuti su tre pazienti shopping-compulsivi trattati con Naltrexone. L'azione principale del Naltrexone nel Sistema Nervoso Centrale e di antagonista degli oppioidi, nel senso che la sostanza si lega agli stessi siti recettoriali al quale si legano gli oppiaciei per agire. Quando il naltrexone si lega a questi siti, gli oppiacei non sono in grado di legarsi a loro volta, e pertanto non sono in grado di attivarsi. Nell'articolo appea menzionato viene mostrato come pazienti trattati con alte dosi di naltrexone vadano incontro ad una remissione dell'impulso d'acquistare, sottolineando ancora come il disturbo possa essere considerato una dipendenza.

Lo shopping può essere considerato un disturbo quando si verificano le seguenti condizioni:
Il denaro utilizzato nello shopping supera le proprie possibilità economiche;
Lo shopping si ripete più volte la settimana;
Il comprare perde la propria valenza, e diventa un mero comportamento fine a sè stesso: in questo caso non c'è differenza in ciò che si compra, qualsiasi cosa vale per spengere la tensione interna all'acquisto;
Il mancato acquisto crea ansia e frustrazione, in quanto risponde ad un bisogno che non può essere soddisfatto;
la predisposizione agli acquisti è una situazione del tutto nuova rispetto alle precedenti abitudini del soggetto.
Un aspetto ulteriore, da tenere in considerazione, evidenziato da Lane Benson in un libro intitolato "I shop, therefore I am" (Compro, dunque sono), è la società che non pare prendere in seria considerazione il compratore sfrenato, ma al contrario sembra apparire alquanto accondiscendente verso questa categoria. E' come se il compratore compulsivo si sentisse legittimato da questa a continuare sulla propria sdrada, al contrario di quanto avverrebbe per altre categorie di disturbi compulsivi o per tossicodipendenti costretti quotidianamente a scontrarsi con il diniego dela società.

Prima di terminare ti consiglio alcuni libri che potrebbero interessarti:

- La psiche del consumo. Consumatori, desiderio e identità

- Psicologia dell'abbigliamento

Nella speranza di esserti stato utile, ti auguro un buon lavoro!

Risponde
Jacopo Campidori, Dottore in Psicologia

FONTE:http://rolandociofi.blogspot.it


Dipendenza senza Sostanza
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Prevenzione e terapia - atti del convegno rete nuove dipendenze patologiche

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L'ANSIA DA ESAME


L'ANSIA DA ESAME






Il soggetto con ansia d'esame, anche se possiede discrete capacità per fronteggiare la situazione, mostra una tendenza ad ignorarle; così facendo, anche situazioni ambientali di poco conto si trasformano in gravi minacce per la riuscita della prova alla quale la persona si sta sottoponendo. In particolare chi soffre di ansia da esame manifesta una serie di pensieri negativi e catastrofici i quali provocano la autoconvinzione di non essere in grado di superare la prova, di essere bocciato, di fare una figuraccia davanti agli altri, al proprio partner e ai propri genitori e di perdere la loro stima, oppure più in generale di vedere compromesso il proprio giudizio sociale (reale o interiorizzato).


Egli fa dipendere la sua autostima da un riconoscimento esterno, in questo caso un voto. Ossessionato dal risultato, lo studente ansioso, immagina che una cattiva performance possa fargli perdere la stima e l'approvazione delle persone per lui importanti. Chi soffre d'ansia d'esame sente che, durante l'esame, non viene valutata solo la sua preparazione scolastica, ma anche la sua intelligenza e le sue capacità personali. La rigidità di questa posizione viene costantemente alimentata da una serie di idee irrazionali come: "Devo essere perfetto", "Chi non ha successo viene criticato, emarginato e rifiutato dagli altri", "Ho valore solo se ho successo". Tale prospettiva irrazionale e assolutistica viene spostata anche nel futuro, il quale viene immaginato come triste e privo di possibilità di cambiamento; tale processo di pensiero è contraddistinto da una generalizzazione della situazione d'esame a tutte le altre situazioni della vita, per cui la persona arriva a sentenziare, per esempio: "Sarò un buono a nulla", "Gli altri non avranno mai stima di me", "La mia vita sarà vuota e insoddisfacente".

L'ansia da esame compare prima degli esami, generalmente durante la loro preparazione, producendo oltre ai processi cognitivi sopra descritti sintomi quali insonnia, nervosismo, irritabilità, difficoltà di concentrazione, vuoti di memoria, preoccupazioni ossessive sull'esame e persino sintomi psicosomatici. Un soggetto che soffre di una forte ansia da esame può farsi prendere dal panico e fare scena muta durante un'interrogazione o non riuscire a ricordare assolutamente nulla durante una prova scritta, e questo indipendentemente da quanto egli sia preparato e dalle valutazioni precedentemente ottenute. Tale reazione alla situazione di esame può colpire chiunque, anche gli studenti più coscienziosi e preparati; spesso sono proprio loro quelli che si fanno prendere dal panico al momento dell'esame a causa del timore di non essere in grado di mantenere il livello di prestazione fino a quel momento ottenuto.

L'ansia da esame può essere curata con buoni risultati, soprattutto attraverso tecniche cognitivo-comportamentali quali la desensibilizzazione sistematica. Attraverso questa tecnica il soggetto viene sottoposto a diverse situazioni ansiogene, dalle meno stressanti a quelle più minacciose, in maniera progressiva, associando a ciascuna di esse sensazioni di rilassamento muscolare e pensieri positivi. Il primo passo per poter usufruire dei benefici della terapia, tuttavia, consiste nel riconoscimento e nella presa di coscienza del problema da parte dell'interessato. È fondamentale che il soggetto riconosca l'ansia da esame come un aspetto della sua personalità, senza cadere in maniera eccessiva nell'autosvalutazione, e acquisendo la consapevolezza di poter affrontare il problema.

FONTE:nienteansia.it


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DISTURBO EVITANTE DI PERSONALITA'

DISTURBO EVITANTE DI PERSONALITA'


La caratteristica essenziale del Disturbo Evitante di Personalità è una modalità pervasiva di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza e ipersensibilità alla valutazione negativa, che inizia entro la prima età adulta ed è presente in una varietà di contesti.

Gli individui con Disturbo Evitante di Personalità evitano il lavoro o le attività scolastiche che coinvolgono un contatto interpersonale significativo per timore di essere criticati, disapprovati o rifiutati (Criterio 1). Possono essere rifiutate offerte di promozione sul lavoro poiché le nuove responsabilità potrebbero determinare la critica dei colleghi. Questi individui evitano di farsi nuovi amici, a meno che non siano certi di piacere e di essere accettati senza critiche (Criterio 2). Finché non superano prove rigorose che dimostrano il contrario, le altre persone sono ritenute critiche e disapprovanti. Gli individui con questo disturbo non si uniscono ad attività di gruppo, a meno che non vi siano offerte ripetute e generose di supporto e di accudimento. L’intimità interpersonale è spesso difficoltosa per questi individui, sebbene siano capaci di stabilire relazioni intime quando viene assicurata un’accettazione incondizionata. Possono agire con inibizione, avere difficoltà a parlare di sé, e trattenere sentimenti intimi per timore di esporsi, di essere ridicolizzati o umiliati (Criterio 3).

Poiché gli individui con questo disturbo sono preoccupati di essere criticati o rifiutati in situazioni sociali, possono essere dotati di una soglia molto bassa per avvertire tali reazioni (Criterio 4). Se qualcuno li disapprova o li critica anche leggermente, possono sentirsi estremamente feriti. Tendono ad essere timidi, quieti, inibiti e “invisibili”, per timore che qualsiasi attenzione sia umiliante o rifiutante. Si aspettano che indipendentemente da quello che dicono, gli altri lo riterrebbero “sbagliato”, e quindi possono non dire assolutamente niente. Reagiscono vistosamente ai suggerimenti velati che suggeriscono scherno o derisione. Nonostante il loro desiderio di partecipare attivamente alla vita sociale, temono di mettere il loro benessere nelle mani degli altri. Gli individui con Disturbo Evitante di Personalità sono inibiti nelle situazioni interpersonali poiché si sentiono inadeguati, e hanno una bassa autostima (Criterio 5). In situazioni che comprendono interazioni con estranei diventano particolarmente manifesti i dubbi riguardanti la competenza sociale e l’attrattiva personale. Questi individui credono di essere socialmente inetti, personalmente non attraenti, o inferiori agli altri (Criterio 6). Sono insolitamente riluttanti ad assumere rischi personali o ad ingaggiarsi in qualsiasi nuova attività, poiché questo può rivelarsi imbarazzante (Criterio 7). Sono inclini ad esagerare i pericoli potenziali di situazioni ordinarie, e dalla loro necessità di certezza e sicurezza può derivare uno stile di vita coartato. Alcuni con questo disturbo possono disdire un colloquio di lavoro per il timore di sentirsi imbarazzati per non essere vestiti adeguatamente. Sintomi somatici marginali o altri problemi possono diventare la ragione per cui evitano nuove attività.


FONTE:http://www.psicologiaebenessere.it


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