Usiamo una semplice tecnica di PNL con i bambini per vivere meglio
Da: “La mia voce ti accompagnerà; i racconti didattici” di M. Erickson, Ed. Astrolabio Ubaldini
Purtroppo l'educazione si occupa di insegnarci tante cose, ma nessuno si concentra mai sulle dinamiche della comunicazione.
Invece, imparando a comunicare in modo efficace risolveremmo la maggior parte dei problemi che portano le persone a sentirsi incomprese e infelici (insoddisfazione, sensazione di non trovare un proprio posto, incapacità di raggiungere obiettivi, frustrazioni, negatività, cattivi rapporti con gli altri, etc.)
La comunicazione viene permessa dagli organi di senso, che ricevono uno stimolo, lo elaborano (secondo strategie acquisite nella nostra esperienza di vita) e permettono di dare una risposta a seconda dello stimolo e dell'elaborazione effettuata.
Tutti noi attuiamo delle strategie (ad esempio per motivarci o per prendere decisioni) e lo facciamo a seconda dell'esperienza che abbiamo avuto, dello stimolo che abbiamo ricevuto e della nostra capacità di utilizzare la strategia più appropriata al momento giusto.
Per esempio una persona potrebbe motivarsi a mettersi a dieta utilizzando prima l'elemento visivo (si "vede" o si "immagina" al momento in cui avrà raggiunto il risultato desiderato) poi l'elemento cinestesico ("sente" o si "immagina" internamente la sensazione provata) poi di nuovo l'elemento visivo (confronta l'immagine creata con l'immagine che ha di sé in quel momento) e decide quindi di cominciare la dieta.
Tanto più la strategia utilizzata sarà capace di farci raggiungere il nostro obiettivo tanto più sarà appropriata.
Essere capaci di comunicare implica la conoscenza di questi canali (visivo, auditivo, cinestesico, olfattivo-gustativo) e la capacità di utilizzarli a seconda delle persone, delle occasioni e degli obiettivi che desideriamo raggiungere con la comunicazione.
Secondo la Programmazione Neouro Linguistica (PNL), gli elementi importanti al fine della comunicazione sono:
1- Il contatto
Il contatto è il nostro primo approccio con la persona con la quale vogliamo comunicare. Prima di "prendere" contatto è necessario ricordare che comunichiamo non solo con la voce, ma soprattutto col nostro corpo.
Procediamo sempre con cautela e rispetto di chi abbiamo di fronte, a maggior ragione se si tratta di un bambino.
Il contatto implica delle sensazioni, sia in chi cerca di comunicare sia in chi viene contattato, cerchiamo quindi di approcciarci con estrema sensibilità e positività, perché la persona interessata possa essere motivata ad entrare in comunicazione con noi.
Il contatto può realizzarsi fisicamente, toccando la persona interessata, visivamente, guardandola negli occhi e verbalmente, rivolgendole la parola.
Naturalmente il contatto avrà tanto più successo quanto più ci avviciniamo alla strategia dell'interlocutore.
Possiamo non conoscere ogni strategia della persona con la quale desideriamo comunicare: sarebbe allora utile utilizzare ogni possibile canale comunicativo, per avere buon successo di trovarne uno aperto.
Per esempio, potremmo approcciarci con delicatezza alla persona in questione, chiederle prima "scusa" (elemento auditivo), guardandola poi negli occhi, magari sorridendo (elemento visivo) e, nel caso la vedessimo reagire positivamente, magari sfiorarla o, a seconda della nostra confidenza con lei, stringerle un braccio o abbracciarla (elemento cinestesico).
Così procedendo saremo più sicuri di aver incontrato almeno un canale di comunicazione aperto e naturalmente la risposta della persona sarà la nostra cartina al tornasole per decidere se continuare a comunicare o se fermarci.
2 -Il mirroring
La tecnica del mirroring (o rispecchiamento) è una tecnica che permette di "accordarsi" al ritmo della persona che ci troviamo di fronte, entrando in "rapporto" con lei e rendendo quindi più efficace la comunicazione.
Il livello di rapporto che si stabilisce con l'interlocutore dipende dalla nostra abilità di rispecchiarlo dal punto di vista della postura, della gestualità, della respirazione, della "velocità", della prossemica, del linguaggio e del contatto visivo.
Per esempio, se stiamo cercando di comunicare con una persona molto pacata, chiusa e lenta sarebbe buona norma avvicinarci quanto più possibile al suo modo di comunicare.
Nel momento in cui avvertiremo di aver aperto un buon canale comunicativo, potremo portare la persona ad attuare un comportamento più simile al nostro semplicemente modificando gradatamente il nostro, fino al livello desiderato.
3- Raccolta delle informazioni e riassunto delle esigenze
Per raccogliere informazioni è necessario domandare.
Chiedere è di fondamentale importanza, perché se le informazioni a nostra disposizione non sono sufficienti la nostra mente le integra inconsciamente, cioè in base alle esperienze che abbiamo vissuto fino a quel momento.
Chi parla, spesso, lo fa presupponendo che chi ha di fronte capisca quello che lui intende dire senza esprimerlo esplicitamente e dà per scontati elementi importanti al fine della comunicazione stessa.
Quando parliamo coi nostri figli evitiamo le domande retoriche (cioè che non necessitano di risposta) ed evitiamo di aggredirli: sono i modi migliori per compromettere la comunicazione.
3 - L'ascolto attivo
Per ascolto attivo si intende l'assicurarsi sempre che l'interlocutore abbia recepito quello che noi intendevamo effettivamente trasmettergli.
Ricordiamoci che quello che è stato comunicato non è ciò che intendeva il comunicatore ma ciò che il ricevente ha percepito. Per sapere se il ricevente ha davvero percepito quello che noi intendevamo è importante chiedergli di spiegarci il suo punto di vista e di farci vedere le cose dalla sua prospettiva.
Sviluppare le proprie capacità di ascolto consente di capire meglio gli altri, di acquisire una maggiore abilità nel trattare le persone, evitare i conflitti cogliendo anche i segnali più deboli di contatto.
La responsabilità della comunicazione è di chi sta cercando di comunicare, non di chi riceve la comunicazione: non incolpiamo nostro figlio di non aver eseguito un compito se non siamo sicuri di averglielo spiegato bene e che lui abbia veramente capito!
“Mio figlio Riccardo, all'età di cinque anni, era caduto all'asilo tagliandosi la lingua. Stava sanguinando copiosamente e urlava per la paura e per il dolore. Sua madre ed io corremmo in suo aiuto.
Un unico sguardo a lui, seduto al banco che urlava, con la bocca che sanguinava abbondantemente e tutto il sangue sparso sul pavimento, mi rivelò che si trattava di un’emergenza che richiedeva misure immediate e adeguate.
Non ci avvicinammo. Al contrario, quando si fermò per prendere il respiro prima di urlare di nuovo, gli dissi velocemente, semplicemente, con solidarietà: “Fa un male terribile, Riky. Fa un male terribile.”
In un attimo, senza alcun dubbio, mio figlio si rese conto che sapevo quello di cui stavo parlando. Era d’accordo con me e sapeva che io ero completamente d’accordo con lui. Di conseguenza mi ascoltava con rispetto, poiché avevo dimostrato di comprendere pienamente la situazione.
Poi dissi a Riky: “E continuerà a farti un gran male.” Con questa semplice affermazione, diedi voce alla sua paura peggiore, confermai l’idea che lui stesso si era fatto della situazione, dimostrai piena comprensione del problema e il mio totale accordo con lui, dato che in quel momento lui prevedeva per se stesso solo una vita di tormento e dolore.
Poi portai Riccardo verso una consapevolezza diversa e più produttiva della sua condizione focalizzando l’attenzione di Riccardo sulla quantità e sulla qualità del sangue sul pavimento, collegando allo stesso tempo il sangue alla caratteristica che Riky considera importante, cioè la qualità: “C’è proprio un sacco di sangue sul pavimento. È un buon sangue, rosso e forte? Guarda bene, mamma, guarda. Io penso di sì, ma voglio che tu ne sia sicura.”
Riccardo, viene guidato verso l’obiettivo di porre la sua attenzione su qualcos’altro che non sia il dolore. ........ “Comunque, definimmo quell’opinione (sulla qualità del sangue) positiva, affermando che sarebbe stato meglio esaminare il sangue guardandolo sullo sfondo del lavandino del bagno. A questo punto Riky aveva smesso di piangere, e il suo dolore e la sua paura non erano più fattori dominanti. Invece, era interessato e assorto nell’importante problema della qualità del suo sangue.”
In ospedale ho guidato Riccardo sempre più lontano dal trauma e dal dolore, chiedendogli se sarà così fortunato da avere bisogno di un numero di punti di sutura che riesca a contare.
In realtà, sembrava che non fossero necessari neanche dieci punti e lui sapeva contare fino a venti. Così, l’intera situazione si trasformò in un’esperienza comune, in modo tale da essere condivisa con i suoi amici, con un confortante senso di eguaglianza o, addirittura, di superiorità.”
In Programmazione Neuro Linguistica (PNL), Richard Bandler e John Grinder scoprirono, modellando Milton Erickson, che la tecnica del Ricalco produceva sintonia (Rapport) quasi istantaneamente.
E se si crea il Rapport e molto più facile “andare in guida” e massimizzare le probabilità che l’altro (in questo caso nostro figlio) ci ascolti.
Di solito, noi genitori facciamo esattamente il contrario: andiamo in guida prima di ricalcare.
Un esempio? Quando si fanno male, ci affrettiamo a dire loro: “Non è niente! Adesso passa! Cosa vuoi che sia!”. Vero?
E di norma cosa otteniamo? Urla e strepiti con volumi sempre maggiori fino a che non ottengono la nostra considerazione in merito al dolore reale o presunto che sia.
Una volta presi in braccio, coccolati e dopo aver portato la nostra attenzione sul loro “male” (fammi vedere dove hai sbattuto? Deve fare un male terribile…), ecco che sarà più facile cambiare le loro rappresentazioni interne e il loro stato d’animo (andiamo a mettere un po’ di ghiaccio, un cerotto, dell’acqua e poi guardiamo se c’è il tuo cartone preferito in tv, se ho un cioccolatino nella borsa, o raccontami come è andato a finire il film di ieri sera, quanti Pokemon ti mancano, ecc.).
Come funziona in pratica la tecnica del Ricalco?
1) Ricalcare il verbale significa ripetere alcune parole chiave esattamente come ce le hanno riportate.
Ad esempio: “Papà, oggi ho preso 9 nella verifica di grammatica!”; “Bravo Tom, hai preso 9 nella verifica di grammatica? Ma sei un mito, complimenti!”
“Mamma, ho mal di pancia!”; “Hai mal di pancia, vero?”
Che è diverso dal rispondere: “Sì sì, certo, ok, mmm”.
2) Ricalcare il non verbale significa rispecchiare la postura e i gesti che sta facendo nostro figlio: se è seduto sul divano, sediamoci accanto a lui, se è in piedi, alziamoci in piedi, se alza il pollice per dire ok, rifacciamo lo stesso gesto, ecc.
3) Ricalcare il paraverbale significa riprodurre per quanto possibile le variazioni della voce che sottolineano e danno maggiore espressività ad alcuni contenuti: “oggi la maestra mi ha sgridato” (con tono basso e lento); ripeterò in maniera simile (ovviamente con il mio timbro di voce) “ti ha sgridato?”; oppure: “ho segnato in scivolata!!!” (con volume alto, squillante e ritmo veloce); similmente esclamerò “Addirittura in scivolata!!!”.
Il ricalco (di per sé una tecnica molto semplice) è molto efficace per creare un buon clima di intesa, eviteremo fraintendimenti, ci sintonizzeremo più facilmente sul canale di nostro figlio e questo (che di per sé è già uno splendido risultato) sarà il trampolino per accompagnarlo più facilmente verso l’ottenimento delle nostre aspettative.
Es.: “Lo so che sei stanco e che vorresti andare a giocare con la wii (RICALCO) e mi chiedo se tu possa mettercela tutta ora per finire i compiti il prima possibile… (GUIDA)”
“Mi hai detto che il tuo compagno non smette di stuzzicarti (RICALCO), incomincia a pensare a cosa potresti dirgli per lasciarti in pace (GUIDA).”
Ecco le volute delle candele: ogni comando, richiesta, aspettativa, deve avere i colori del verbale, non verbale e paraverbale che realizzeranno magicamente la creazione artististica del comportamento auspicato.
In particolare, mi sono soffermato sulle abitudini positive che installiamo nei figli e su quelle negative che spesso loro stessi prendono approfittando delle nostre debolezze.
Se mi segui, saprai che su questo argomento, ho scritto un post, e parlavo della PNL e delle brutte abitudini, che possono essere un grande ostacolo allo Sviluppo Personale.
Oggi invece voglio parlarti delle buone abitudini che possiamo indurre nei nostri figli.
Per esempio, con mia figlia, ho sempre ripetuto, dopo averle rimboccato le coperte, la seguente frase: “Buonanotte, fai tanta nanna e non ti alzare!”.
Questa frase la ripeto da diversi anni, perché quando era piccola, spesso si alzava durante la notte ed era, per lei e per noi una fatica ritornare a dormire.
Posso dirti che a distanza di anni, la cosa ha funzionato!
Infatti capita che, quando la metto a letto io, si addormenta beata e si sveglia la mattina, mentre quando la accompagna mia moglie, che non ripete la frase, spesso si alza e viene da noi.
Non solo, ultimamente mia figlia, appena io comincio a pronunciare la frase, lei la riprende e la conclude da sola, quasi come un mantra da ripetere prima di addormentarsi.
In questo caso, sono riuscito ad “installare” un comportamento positivo che le permette di dormire tranquillamente e di svegliarsi riposata la mattina dopo.
Questo è solo un esempio, ma ti assicuro che utilizzare semplici tecniche di PNL è un ottimo modo per educare i propri figli, ad esempio anche il ricalco e guida è importante.
Infatti, a volte quando mia figlia piange o “si fissa” su qualcosa, fa le bizze, cerco sempre di seguirla nel suo sentimento, andando a condividere le sue sensazioni, ascoltando anche le sue motivazioni, per poi portare pian piano la sua attenzione su altre cose che, sul momento, valuto essere funzionali e utili per farla uscire dallo stato negativo.
E a proposito di ascoltare anche le motivazioni, ora che è un po’ più cresciuta, in queste situazioni, lei stessa cerca sempre di spiegarmi le sue ragioni e già in questa fase, recupera, da sola, un po’ di calma e smette gradualmente di piangere o fare le bizze!
Poi è chiaro, ognuno ha le sue debolezze e capita, in alcune situazioni, che mia figlia, imitando ahimè dei comportamenti sbagliati, finisca per assimilare delle brutte abitudini, ad esempio consuma troppi dolci, biscotti, merendine ecc. ;-)
Molti genitori, insegnanti, educatori credono di poter applicare le tecniche di comunicazione efficace “sui” bambini invece che utilizzarle su di se stessi per migliorare nel proprio ruolo di adulto.
Ora facciamo una distinzione sottile e molto importante.
Molte volte, infatti, c’è la tendenza (umana, anche io con il mio “fratellino” di 17 anni continuo ad averla) a volere “il meglio” per i nostri bambini.
E questo, ovviamente, spesso coincide con una totale cecità verso chi sono e chi vogliono essere LORO a favore di un altruismo del tipo “voglio che tu faccia quello che non sono riuscito a fare io” oppure “voglio che anche tu faccia quello che sono riuscito a fare io” (strano come queste due posizioni spesso si equivalgano ;-)).
Una delle prime proposizioni per comunicare in modo incisivo ed efficace con la Pnl è quella di riuscire a separare il proprio mondo da quello degli altri. E questo spesso ai genitori manca.
E’ una cosa comprensibile e forse nella natura umana, ma a mio avviso è indispensabile il rispetto di questa diversità prima di qualsiasi tipo di “intervento” sui bambini, perché senza di questa posizione di rispetto nei loro confronti ogni sforzo sarebbe nullo.
Detto questo, è anche ovvio che il ruolo di genitore e quello di figlio sono diversi e che tra i compiti del genitore c’è quello di educare.
Come utilizzare le tecniche di Pnl e comunicazione per farlo al meglio?
Ecco un breve elenco di consigli, sicuramente non esaustivo, ma sempre meglio di niente:
1) Nella comunicazione con i figli la coerenza tra i messaggi che si inviano è tutto. I bambini sono degli ottimi manipolatori e sanno come utilizzare a loro comodo gli schemi comportamentali dei genitori. (hai capito, sono LORO che manipolano te!)
Ad esempio se un bimbo piange e si dispera e tu gli dai un gelato per farlo “zittire”…. cosa avrà imparato? Che se vuole un gelato deve piangere e disperarsi!
2) Gestisci il tuo umore. Mi capita spesso in giro di vedere bimbi con genitori che, innervosendosi per qualcosa, li rimproverano senza motivo. Se vuoi fare in modo che i tuoi rimproveri siano “ascoltati” ricorda sempre che è fondamentale che questi dipendano da fatti oggettivi e non dal tuo umore. Se il capo ti ha sgridato al lavoro la colpa non è di tuo figlio che si è sporcato con il gelato…. intesi?
3) Impara a riconoscere le sue particolari inclinazioni e strategie. Nella Pnl si utilizza il modello Visivo/Uditivo/Cinestesico, quello dei Metaprogrammi o delle Strategie per insegnare a comunicare in modo efficace con le persone. Questi modelli sono applicabili anche ai bambini e non solo con questo obiettivo ma anche a scopo educativo per costruire flessibilità nel loro comportamento ed aumentare l’intelligenza. Se un bambino ha la tendenza a processare per immagini crea le condizioni per farlo esprimere a livello fisico/spaziale o utilizzado i suoni… espandi la sua intelligenza! Per approfondire questo aspetto può esserti utile il CD Audio “I Segreti dell’Apprendimento Creativo”
4) Associa piacere nel fare le cose che “deve” fare. Se non fa i compiti è perché nel suo modo di organizzarsi il mondo è più piacevole fare altro. Come sarebbe se riuscissi a rendere piacevole anche l’apprendimento e lo studio?
5) Dedica tempo al suo apprendimento ed alla sua crescita. Quando lavoro con i miei clienti per il personal coaching uno dei miei motti è sempre “Dove metti la tua attenzione ottieni i tuoi risultati”. E’ un principio anche banale ma che vale sempre la pena ricordare. Ricorda che comunichi anche quando non parli. Se dedichi tempo di qualità ai tuoi bambini otterrai degli enormi risultati. Il che significa anche documentarti, studiare, imparare come “funzionano” e come “imparano” i bambini….
E ci sarebbe anche l’accorgimento numero 7, numero 8, numero 9, etc… ma non voglio dilungarmi troppo.
Non è “facile” applicarli quotidianamente…. ma ne vale comunque la pena.
Concludo con un aneddoto ......
Palestra di una scuola americana.
Tutti gli studenti ordinatamente seduti sulle loro sedie rivolti verso un palco.
Sul fondo del piccolo palco siedono i professori che ascoltano il preside mentre li presenta.
E' il primo giorno di scuola e un nuovo professore, chiede di poter parlare con gli studenti per presentarsi.
Michael D'Angelo è giovane, ha circa 30 anni è un bel ragazzo ed ha studiato proprio in quella scuola con il professore che è chiamato a sostituire: uno dei migliori mai avuti in quella struttura.
Si presenta, fa qualche battuta per rompere il ghiaccio e per attirare l'attenzione degli studenti sul suo discorso. Gli studenti ora sono in mano sua.
Inizia il suo discorso:
"L'istruzione è un viaggio da eroi ragazzi e a me sembra che andare a scuola assomigli molto ad un film di Guerre Stellari.
Siete tutti dei Luke Skywalker, o delle Lucy Skywalker a seconda dei casi e la scuola è solo uno dei posti dover riceverete il vostro addestramento Jedi.
Perchè dobbiamo prepararci a combattere contro l'impero del male!
Ora, l'impero del male non è la scuola, né i genitori, nè i prodotti a base di carne della mensa, no, vedete, l'impero del male è una convinzione: quella di credere di essere limitati; non è così!
Che ve ne rendiate conto o no, ognuno di voi è perfetto.
Norman Warner è stato il mio maestro Jedi e la lezione più importante che mi abbia insegnato è che ero io l'insegnante di me stesso, che ero io il mio stesso maestro e la lezione che spero di insegnare a voi è di non preoccuparvi di quello che fate, perchè non ha importanza. Preoccupatevi di ciò che siete! Fatelo e non esisterà niente che possa impedirvi di andare fuori nel mondo e prenderlo a calci nel culo!
Questa (prende una matita) è la vostra spada laser. Applicatela ad un semplice pezzo di carta, aggiungete cuore e coraggio e potremo rendere il mondo un posto migliore.
Lasciatemi fare questo viaggio con voi. Grazie."
Ovazione degli studenti
Buone ferie a tutti.
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Anteprima - PNL con i Bambini - Guida per Genitori - Libro di Eric de la Parra Paz
Quando un essere umano diventa genitore, una cosa è chiara: non potrà essere mai più la persona di prima. E diventato guida, consigliere, amico, addestratore, compagno, medico, e molte altre cose ancora nei confronti di un altro essere che chiama suo "figlio". Ma sorge una domanda: è pronto per questo compito? Le formule che conosce per trionfare nella vita sono state efficaci? Ricorda che cosa significa essere bambini? E qui che cominciano i problemi... I bambini, nascendo, non arrivano con un manuale di istruzioni, sono qualcosa di più grande di qualunque cosa conosciuta sul nostro pianeta, e quindi occorre una conoscenza precisa dell'identità e dell'essenza dell'essere umano per relazionarci con loro.
Sappiamo davvero che cosa vuol dire essere un bambino? Osserviamo da vicino questa qualità: essere bambini significa credere nell'amore puro, nella bellezza al di là della forma, nelle storie; significa essere così piccoli che fate e folletti possono avvicinarsi e sussurrarci qualcosa all'orecchio; significa trasformare le zucche in carrozze, i topi in destrieri, le meschinità in cose sublimi, un niente nel tutto. Ogni bambino ha dentro l'anima la sua fata madrina che lo guida nel mondo dell'immaginazione, alla scoperta di forme di vita migliori per lo spirito umano perché si basano sulla naturalezza, sulla semplicità, sulla fratellanza e sull'amore. I bambini vivono nell'idea che è questo è un mondo di speranza. Quando un bambino nasce incarna le qualità più elevate della vita, esattamente come una pietra, una pianta e un animale.
Ricordate il detto: Dio dorme nel minerale, cresce nel vegetale, si muove nell'animale, pensa nell'uomo e ama nell'angelo.
Il bambino, nel suo contesto unico, possiede la prima e ultima libertà: arrivare a essere o a non essere.
Tocca a lui scegliere tra il mondo dei vivi o il mondo dei morti viventi; e, anche se possiamo non crederci, è solo questione di scelta. Perché la sua scelta sia quella giusta, il bambino ha bisogno di un premuroso e profondo aiuto da parte dei genitori, degli insegnanti e delle persone che gli sono vicine.
Erich Fromm diceva giustamente che "il tragico destino degli uomini è morire prima ancora di essere nati".Vivere così è il peggiore tradimento nei confronti della vita.
In più occasioni mi è capitato di parlare di un fatto che tutti abbiamo sperimentato nella scuola, ovvero che molti insegnanti ci insegnano delle formule per trionfare nella vita che loro non hanno messo in pratica, poiché, purtroppo, conducono spesso una vita priva di colore e con una visione non molto elevata. Lo stesso accade con i genitori, molti dei quali esigono dai figli comportamenti e atteggiamenti che non hanno mai vissuto né messo in atto.
Questo è precisamente l'obiettivo di questo libro: fornire a chi è diventato genitore una guida che lo aiuti nel compito di enorme responsabilità di educare un essere umano che ha in sé la speranza di piantare nel suo mondo i semi che favoriscano l'evoluzione di un uomo nuovo. Il primo dovere di un genitore o di un educatore è conoscere quel piccolo essere che comincia una nuova vita, aiutarlo a crescere nel massimo rispetto, permettergli di manifestare le sue potenzialità senza soffocarle, senza tradire i motivi per cui è stato messo al mondo.
Chi viene al mondo perde, per il fatto stesso della recisione del cordone ombelicale, il contatto fisiologico con la madre. Ma esiste un altro cordone ombelicale che gli adulti devono evitare di tagliarla qualunque costo e sotto nessun pretesto: la fondamentale parentela con la totalità dell'universo, con tutte le altre espressioni della vita, anche se non sono umane. Chi conserva questo secondo cordone ombelicale per tutta la vita, si nutre di quel meraviglioso quid che lo fa sentire partecipe dell'armonia cosmica e gli consente di sintonizzare il proprio ritmo vitale sul ritmo e sull'armonia della totalità della vita.
Se conserva questo contatto non sarà mai solo, e occorre evitare che i suoi educatori recidano questo secondo cordone con le loro idee, i loro atteggiamenti, convinzioni, valori e modi di vivere. Con il taglio del cordone ombelicale fisico, il bambino viene separato dalla sicurezza materiale, dal paradiso che lo unisce alla madre. Con la recisione del cordone ombelicale spirituale, per chiamarlo così, che lo unisce all'Universo e oltre, l'uomo perde quell'intima respirazione che lo rende libero dall'infelicità, dall'oscurità interiore, dalla solitudine, dalla limitazione e dalla sterilità spirituale.
Sui templi della Grecia antica era incisa la frase: "Uomo, conosci te stesso", perché in questo modo conosciamo anche il mondo e l'Universo. Questo libro si basa su questo principio, della cui verità siamo convinti. Per educare e aiutare i figli nel cammino della vita è importante conoscere prima di tutto noi stessi; solo così potremo aiutare i nostri figli a vivere. L'umanità odierna cammina tranquillamente e inconsciamente verso l'abisso, in cui rischia di precipitare in qualunque momento trascinando con sé i propri figli. L'unica possibilità per evitarlo è fermarsi, radicarsi in un livello più elevato di energia attraverso una lucida consapevolezza, e riflettere umilmente su alcune verità.
L'uomo potrebbe incominciare questo percorso a ritroso, questo ritorno a una vita di saggezza, riconoscendo alcuni errori di base troppo importanti per continuare a ignorarli, creando di nuovo un giusto rapporto con i piccoli e innocenti rappresentanti della nostra specie (i bambini), e riallacciando il dialogo con la vita che ha interrotto da tanto tempo. E interessante come gli adulti si diano continuamente da fare per migliorare il rendimento dei cavalli da corsa allo scopo guadagnare più denaro, creare incroci o modificazioni genetiche per ottenere piante e frutti migliori, più ambiti dal mercato, ma non cerchino di trovare il modo per far evolvere la specie umana.
Non possiamo assolutamente aspettare ancora per dedicarci al compito di creare un nuovo essere umano fin dalla sua più tenera età, perché c'è una risorsa molto difficile da recuperare se la perdiamo: il tempo. Oggi i bambini sono disposti a vivere e a imparare; domani potrebbe essere troppo tardi anche per la speranza che i figli portano con sé: creare un mondo migliore.
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