Come nascono gli automatismi
del nostro carattere
Ritengo sia importante rendersene conto, perché in genere si crede che la spontaneità abbia a che fare con l’essere della persona, mentre non è altro che qualcosa come saper guidare bene la macchina, cioè un insieme di automatismi.
Quando una persona impara a guidare, all'inizio deve pensare come si fa, ma poi non ci pensa più: sarebbe uno stress pazzesco guidare pensando, e chi sa guidare fa automaticamente, cioè spontaneamente, le operazioni necessarie.
Gli automatismi non si identificano però con la qualità: un buon pianista e’ aiutato dai suoi automatismi a non pensare alla gestione della tastiera, ma la qualità dell’esecuzione dipende dal suo livello di creatività e dalla sua capacità di differenziare i suoni e dall'avere un gusto che lo guida, non dal livello tecnico che possiede.
Gli automatismi si stabiliscono più facilmente nell’infanzia, e averli o non averli è la differenza fra un pilota automatico e un pilota manuale, il che vuol dire in realtà fra la spontaneità e la goffaggine, e qualcosa per esempio che ha molto bisogno di automatismi è imparare una lingua straniera, che pochi da grandi riescono a padroneggiare correttamente proprio per la difficoltà di assumere automatismi che da piccoli si sarebbero appresi ben più rapidamente. Anche qui comunque, fra saper parlare una lingua e essere uno scrittore, la distanza e’ abissale.
Per quanto da una parte gli esseri umani siano tanto restii ad assumere automatismi, dall'altra parte sono felicissimi di averli, e per questo si può anche dire, per assurdo, che il miglior amico dell’uomo è la nevrosi: su dei bei meccanismi coatti si potrà sempre contare, può crollare il mondo ma le coazioni stanno sempre li.
Se le si sa utilizzare possono anche essere di grande utilità, altrimenti diventano una trappola.
Gli automatismi sono la cosa a cui gli esseri umani sono più attaccati e sono, allo stesso tempo, la loro dannazione: l’inconveniente base è che mettendo il pilota automatico, poi l’aereo va sempre dritto …
L’insieme di automatismi più potente, più coeso, dell’essere umano, è appunto quello che si chiama il carattere, che e’ vissuto poi soggettivamente come “fare quello che viene spontaneo di fare”: per un verso è il suo cavallo di battaglia e dall'altra parte il suo destino, la sua prigione.
Questo per dire che il carattere non è né una cosa da cancellare né una cosa di cui andare fieri.
Gli automatismi a volte sono utili e a volte no: si tratta di conoscerli e all'occorrenza sottoscriverli oppure decidere che è il momento di staccare il pilota automatico.
Il problema e’ che se però non ci si accorge che c’è, il pilota automatico non si può staccare.
La faccenda è complicata dal fatto che nell'organismo vige il principio dell’inerzia, cioè quello che è stato messo in moto tende a rimanerci.
Si tratta poi semplicemente dell’investimento narcisistico: gli esseri umani tendono a investire narcisisticamente in quello che hanno, qualunque cosa sia.
E’ un meccanismo adattivo, con una funzione biologica: investiamo in qualunque cosa ci tocca, ci possiamo affezionare anche al peggio, la difficoltà poi è riuscire a rinunciare all'affezione …
Il carattere è qualcosa di meccanico, ha più a che fare con un macinacaffè che con un quadro: non è quello che la persona è, ma è quello che la persona non è.
Dire che la persona non è il carattere è come dire che una persona e la sua automobile non sono una cosa sola.
Gli automatismi possono essere di qualunque provenienza, e si può acquisire automatismi per qualunque ragione.
Lavarsi le mani è un automatismo, ma qualcuno se le lava per essere più bello, qualcuno se le lava perché gliel’ha detto la mamma, qualcun altro per un altro motivo: lo stesso automatismo si appoggia su basi diverse.
Siccome però l’organismo non è sconclusionato, non acquisisce un automatismo in modo casuale: i comportamenti coatti si appoggiano sulle funzioni psichiche, e lo stesso comportamento può provenire da funzioni diverse, il sostrato insomma può essere molto diverso, per cui non si può risalire per deduzione dal comportamento al carattere.
Ogni carattere ha un modo differente di vedere la verità: il carattere ira per esempio vede la verità da un punto di vista normativo, il carattere orgoglio la vede dal punto di vista dell'autostima.
Dal punto di vista normativo il mondo è disordinato e va messo a posto: il punto di vista dell’autostima è differente, all'autostima non importa il disordine, ma la meraviglia. Dal punto di vista dell'autoalleanza il problema è poi se qualcuno gli sta facendo un’ingiustizia, dal punto di vista dell'autorappresentazione è se ha abbastanza visibilità, eccetera. Quando l’autoregolazione organismica funziona abbastanza bene, succede che nel vissuto delle persone queste istanze si alternano in una specie di balletto fra il punto di vista dell'autostima, il punto di vista dell'autorappresentazione, il punto di vista dell'autodifesa, eccetera, un andare e venire di immagini, come quando si guarda la televisione.
Questo balletto è fra il primo piano e lo sfondo: è come se la mente umana richiedesse un insieme dinamico in cui continuamente affiora qualcosa in primo piano e qualcosa va sullo sfondo, tanto che quando qualcosa rimane troppo tempo in primo piano, in genere si comincia a sentire un qualche senso di scomodità. In questa logica si può immaginare il carattere come una funzione che inizialmente si mette in primo piano rispondendo a un bisogno, poi piano piano si abitua alla posizione e non se ne va più: un esempio politico di questo movimento è il colpo di Stato.
Se la lettura non deve essere tendenziosa, d’altra parte leggere la realtà senza metterci una partecipazione personale fa si che il mondo risulti poi rappresentato in modo completamente incomprensibile. C'è stata a lungo nella cultura occidentale una sopravvalutazione della neutralità, fino per esempio a cercare di scrivere biografie con un punto di vista assolutamente neutrale, con il risultato che poi non si capiva chi fosse la persona in questione: una lettura neutrale è in realtà priva di significato, è come se a guardare fosse una macchina da presa invece che un essere umano, e una macchina vede solo una serie di particolari scollegati tra loro, come negli esperimenti di Andy Warhol con la macchina da presa a inquadratura fissa.
Insomma, non esiste una lettura non soggettiva, tutte le letture lo sono, la differenza è che possono esserlo più o meno radicalmente: alcune sono proprio tendenziose, come quelle dei regimi dittatoriali, che sono così tendenziose da essere ridicole nella loro tragicità.
Tutte le letture tiranniche sono al limite del ridicolo, e quando una funzione va in primo piano e non torna indietro è sempre una specie di colpo di Stato, una situazione di tirannide interna che e’ altrettanto stupida e cattiva di quella esterna.
Quando una funzione si impadronisce del primo piano, non è comunque che le altre scompaiono: nella Germania nazista le scuole c’erano, solo che economicamente
parlando venivano dopo le esigenze militari.
Si hanno insomma sempre anche tutte le altre funzioni, ma a queste non è permesso di gestire i comportamenti della persona.
Le funzioni si possono vedere come ministeri: è come se i ministeri ci fossero sempre tutti, ma rimangono economicamente e politicamente secondari a quello golpista.
Nel caso del colpo di Stato militare, i ministeri sono tutti secondari a quello della guerra.
Le nove funzioni sono tutte quante fondamentali, e nelle loro esagerazioni e’ come se dessero luogo a nove civiltà diverse, che hanno poche chances di farcela nel confronto col mondo se non si embricano fra di loro.
Il colpo di stato non si risolve con un altro colpo di stato, e nemmeno il carattere si smonta dando il potere a un’altra funzione e diventando esagerati in un altro modo: si smonta con un depotenziamento energetico, togliendogli cioè importanza.
Bisogna smettere di alimentarlo energeticamente, e allora cade da solo come i regimi autoritari, che non reggono le esigenze di una economia moderna.
Disinvestimento e umorismo sono strumenti fondamentali: bisogna non prendere sul serio il carattere, e soprattutto non esagerare in una direzione o nell’altra e stare per così dire nel mezzo.
In medio stat virtus, si diceva nel mondo classico. Questo è arduo per gli esseri umani, per i quali di solito è più facile fare tanto o non fare niente, mentre è difficile fare poco: e’ più facile cioè esagerare che stare in equilibrio. A dottò acqua e olio tutto apppposto!!!!!!!
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