sabato 26 maggio 2012

Emozioni sincere e simulate parte seconda: i gesti

Emozioni sincere e simulate parte seconda:
 i gesti


Ritorniamo, oggi, a parlare di emozioni sincere e false ed in particolare analizzeremo i gesti.


I gesti che facciamo ogni giorno possono essere distinti in primari , cioè quelli attraverso cui si invia volontariamente un segnale, e accidentali che non hanno come scopo primario la comunicazione e che non avvengono fuori dalla nostra coscienza pur potendo essi stessi inviare messaggi.



Sono proprio questi gesti accidentali i più interessanti, perché non essendo rivolti a qualcuno non vengono neppure censurati o controllati.
Se ad esempio uno studente che ascolta una lezione appoggia le mani sulla testa, questo potrà con buona approssimazione essere interpretato come noia. In questo caso il sostenere la testa con le mani ascoltando una lezione contiene due messaggi: uno meccanico (sostengo la mia testa stanca) ed uno più profondo inviato a compagni e professore (mi sto annoiando).


Il soggetto non è cosciente di aver trasmesso questo messaggio ed anzi, se venisse interrogato, probabilmente risponderebbe che non si sta annoiando affatto.
Ci sono alcune parti come gambe e braccia che tendono ad essere più rivelatrici di altre, anche se spesso vengono mascherate da sedie e scrivanie. E’ per questo motivo che è d’uso, ad esempio in caso di assunzioni particolarmente importanti, mettere la sedia del candidato in mezzo alla stanza.




I vari gesti che consistono nel portarsi la mano al viso (toccarsi il naso, sfregarsi il mento, far pressione sulle labbra, coprirsi la bocca, grattarsi un sopracciglio, rassettarsi i capelli), sono indice che in quel momento il soggetto sta vivendo una situazione di stress; forse sta dicendo una bugia o più semplicemente sta vivendo una forte tensione che viene scaricata con gesti innocui ma rivelatori.


Da questa fuga di informazioni non verbali si evince quindi un acuto conflitto tra l’interiore e l’esteriore, che genera una discordanza tra pensieri ed azioni, come può accadere quando il soggetto si sforza di apparire calmo mentre in realtà il pensiero “annaspa” per far fronte ad una domanda o comunque ad una situazione difficile.

Secondo Morris (1981), che analizza un esperimento effettuato con alcune allieve infermiere, le chiavi che ci permettono di scoprire o comunque di intuire la situazione di difficoltà in cui si trova una persona sono varie. Il compito delle allieve era quello di descrivere degli interventi chirurgici filmati, cui avevano assistito, mentre venivano riprese a loro insaputa con delle telecamere. Era stato loro detto che si trattava di saper rassicurare eventuali pazienti, sminuendo la gravità dell’intervento, tenendo presente che i malati sono molto sensibili ad ogni segnale di pessimismo e che questa abilità avrebbe influito sulla loro carriera.

Contatti tra mani e viso  sono spesso segnali di un conflitto tra ciò che si pensa e ciò che si vuol far credere a chi ci stà davanti

Le allieve migliori a mentire risultarono proprio quelle i cui corpi mentivano meglio anche nei test filmati.

Nonostante questo, anche le migliori non riuscivano ad essere mai perfette e così gli sperimentatori poterono individuare alcuni segnali chiave.

In primo luogo le infermiere tenevano le mani più ferme, riducendo così significativamente tutte quelle azioni manuali che avrebbero normalmente utilizzato per enfatizzare le loro espressioni verbali, come accade quando si dà forza ad una argomentazione o si sottolinea un concetto importante.


Questo avviene semplicemente perché, se siamo minimamente consapevoli che le mani potrebbero tradirci a nostra insaputa, provvediamo a sopprimere questo rischio, anche se questo non è un compito facile. Le mani possono essere nascoste, ad esempio mettendole in tasca, dove magari riescono ancora ad essere attive facendo risuonare qualche monetina o, stringere un palmo contro l’altro, in modo che te mani si trattengono a vicenda. Per l’osservatore esperto, comunque, anche questo “congelamento” delle mani è il segnale che c’e qualcosa che non quadra.

Altra chiave importante è l’aumento dei contatti mano-faccia. E’ vero che ogni tanto tutti si toccano il viso durante una conversazione, ma il numero delle volte che questo avviene, aumenta fortemente quando si tenta di ingannare. Fra gli autocontatti mano-viso più frequenti in queste situazioni di difficoltà, troviamo: sfregarsi il mento, grattarsi un sopracciglio, toccarsi il naso, accomodarsi i capelli, coprirsi la bocca. In particolare, due di queste azioni diventano frquentissime: toccarsi il naso e coprirsi la bocca.


L’atto di coprirsi la bocca e facilmente comprensibile: da essa stanno uscendo parole menzognere e il soggetto inconsciamente alza la mano, quasi per usarla come un bavaglio. Compaiono così le dita a ventaglio sulle labbra, l’indice sul labbro superiore, la mano di fianco alla bocca.

Quanto all’ azione di toccarsi il naso, invece, sembra esserci una duplice spiegazione.
Innanzi tutto, la mano che si alza per bloccare la menzogna viene in qualche modo deviata da quella parte del cervello che non può permettere che la copertura funzioni. E il naso è lì, sufficientemente vicino. Si potrebbe scegliere la guancia o il mento, ma il naso, essendo proprio sopra la bocca, si trova, per cosi dire, nella posizione ideale. La mano, infatti, non ha che da allungare di poco il suo movimento e continua cosi a coprire in parte la bocca, pur cercando di camuffare l’azione.

Quando poi arriva il momento della menzogna, si verifica un lieve aumento di tensione che produce piccoli mutamenti fisiologici, alcuni dei quali incidono sulla sensibilità del rivestimento interno della cavità nasale, provocando una lieve sensazione di prurito che a stento arriva alla consapevolezza, ma comunque sufficiente a far si che il naso attiri la mano.
Questa sensazione, quasi impercettibile, non dà propriamente inizio all’ azione, ma contribuisce piuttosto a dirigerla verso quell’organo, dopo che la mano si è mossa per coprire la bocca, e questo gesto, seppur inconsapevol­mente, ha un significato rivelatore.


Esistono poi movimenti che riguardano altre parti del corpo.
Un bambino che si contorce sulla sedia ha evidentemente voglia di scappare; è un po’ come se il suo corpo dicesse:“vorrei essere altrove”.


Qualunque genitore identifica a prima vista questo segno di inquietudine. Negli adulti tali contorcimenti sarebbero segni troppo trasparenti di disagio e si trasformano in lievi variazioni della postura. Le riprese video del volto anche di professionisti della finzione, permette di individuare microespressioni non più lunghe di frazioni di secondo, individuabili solo a velocità ridotta, che tradiscono i vari stati d’animo. Nell’esperimento effettuato sulle infermiere, infatti, anche le partecipanti più capaci di mostrare espressioni facciali simili a quelle associa­te alla verità, non erano in grado, se le loro espressioni venivano attentamente analizzate, di evitare di emettere questi microsegnali prodotti dai muscoli mimici.

Va comunque sottolineato come la fuga di informazioni che avviene grazie alla comunicazione non verbale prodotta dal corpo, non è ascrivibile necessariamente alla menzogna ma piuttosto ad un conflitto tra i nostri veri pensieri e ciò che vogliamo appaia all’esterno.
Se quindi toccarsi il naso o la bocca non ci danno la sicurezza che il nostro interlocutore menta, abbiamo comunque la ragionevole certezza che nel suo cervello stia accadendo qualcosa che non vuole comunicarci verbalmente.


Sentimenti ed emozioni non vengono traditi inavvertitamente solo dalle espressioni facciali e dai gesti, dato che anche la nostra postura, cioè il modo in cui atteggiamo abitualmente il corpo, può essere sorgente di importanti messaggi. Non è in realtà molto facile comprendere questi messaggi e non esistono delle regole precise per interpretarli. Secondo gli studi di W.Reich, A.Lowen e di altri autori che sinteticamente raduniamo sotto il nome di “Bioenergetici”, solo se si è in contatto con il proprio corpo e ci si fida dei propri sensi, si può essere in grado di cogliere le informazioni che il corpo di un altro invia, attraverso una sorta di identificazione proiettiva.
Questo significa, in pratica, mimare alcune posture tipiche di un altro per comprenderle dall’interno. Se ad esempio si gonfia il petto trattenendo il respiro, si alzano le spalle e si inarcano le sopracciglia, ci si accorge di aver assunto un’espressione di paura.

Per approfondire:



Il Metodo Antiballe



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